Lavorare (e vivere) ai tempi del Coronavirus

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Quando una situazione imprevista viene a manifestarsi all’improvviso scardinando la nostra routine – ed è chiaro il riferimento – l’unica cosa da fare è azzerare i modi con cui affrontiamo la normalità per stabilire le azioni migliori da compiere, partendo da un punto di vista completamente diverso.

Premesso che la tutela della salute delle persone è una motivazione che mette in fila molte delle nostre normali priorità e che la limitazione degli spostamenti, in questi casi, è prevista dalla nostra Costituzione all’articolo 16 (“Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche”) vorrei sottolineare come, man mano che passano le ore e con il contributo di chi usa la testa, la situazione si sta sempre più normalizzando. Per fortuna.

Possiamo quindi già fare qualche semplice ragionamento, che magari ci aiuta a ripartire in modo diverso e migliore.

La prima constatazione è che abbiamo più o meno tutti dei criteri e delle procedure per affrontare la prassi quotidiana, e ne abbiamo anche per i cosiddetti piani B. In entrambi i casi sono attività consuete che sulla carta possono gestire il normale corso degli eventi e alcune delle sue variabili.

L’evoluzione dei contagi al Covid-19, ci ha imposto però di gettare la maschera della routine, invitandoci a prendere (o applicare) decisioni su come comportarci e cosa fare in una situazione del tutto inedita e impensabile fino a qualche settimana fa: uno scenario che ci obbliga a rivolgerci alle nostre più profonde risorse interne per trovare risposte adeguate.

Sto parlando di intelligenza emotiva e funzionale, senso di responsabilità personale e sociale, rispetto per la collettività e per le istituzioni, capacità di negoziare in nuove modalità, spirito di adattamento, empatia. Ci metterei anche la calma, l’autodeterminazione e la ridefinizione degli obiettivi in un orizzonte più ampio, sia temporale che laterale, dato che questo nuovo sistema di valori non riguarda solo noi, intesi come individui singoli o aziende, ma tutti.

Certo, quello che si vede in questi giorni in giro per le strade, nelle discussioni alla televisione e sui social network non è incoraggiante, a partire dallo spettacolo indecente messo in scena dagli esponenti del governo e dalle opposizioni (che magari, con le elezioni regionali e un referendum di mezzo hanno altri obiettivi di immagine da conseguire). In questi giorni l’Italia sta pagando conseguenze un po’ troppo elevate, molte delle quali provocate da chi governa o ci ha governato fino a qualche mese fa. Al di là della palese incompetenza, se hai strombazzato in tutto il mondo la volontà di chiudere frontiere e porti non puoi stupirti se oggi le frontiere le chiudono a te (inteso come italiano) o se ti guardano male quando torni al tuo lavoro fuori confine. Se non fosse tragicomico, ci sarebbe da aggiornare uno slogan che ha fatto tanta presa sul livello di analfabetismo funzionale di molti nostri conterranei: “Prima gli italiani”, a cui oggi andrebbe aggiunto “A essere discriminati”. E’ una logica conseguenza.

E’ nelle situazioni difficilissime che occorre un cambio di passo generale, lo stesso che poi, giustamente, viene chiesto ai cittadini. E io ancora non conosco nessun cambiamento collettivo che non abbia come punto di partenza un cambiamento singolo e personale. Le ridicole code ai supermercati per prendere d’assalto ogni sorta di prodotti come se fosse in atto una guerra batteriologica dichiarata, i prezzi dell’Amuchina (che peraltro non serve a niente) schizzati alle stelle: sono cose che dimostrano quanto siamo incapaci di gestire una variabile. 

La seconda cosa da fare, quindi, dando per scontato che siamo cittadini o amministratori pubblici e privati avveduti e animati dalle migliori intenzioni, sarà pertanto quella di evitare di mettere in atto comportamenti reattivi o emulativi dettati magari dal senso di disorientamento o dall’istinto protezionistico. Un suggerimento pratico: in questi giorni strani, provate a lasciar perdere i social network o quantomeno a depotenziatene l’effetto: ci sono altre fonti più serie dove informarsi. Già ci pensano i media tradizionali a seminare il panico a colpi di audience. E non date nemmeno troppo retta agli avvocati quando vi troverete a rinegoziare i vostri contratti con l’ottica di limitare i danni economici: sono brave persone e spesso competenti nel loro mestiere; ma in questi casi sono i soggetti peggiori a cui affidarsi.

Partiamo proprio da questo punto: tutti perderemo qualcosa, sta già succedendo, mettiamoci l’anima in pace. Probabilmente, alla fine, la conta dei disastri economici sarà nettamente superiore a quella dei danni alla salute. Ma magari non sarà così per tutti i settori, dato che verranno riallocati comparti produttivi troppo prematuramente delegati alla Cina.

Consideriamo fin da subito che sarà inutile piangerci addosso o arroccarsi per salvare solo il nostro giardinetto. Tanto vale allora, tenendo conto della situazione, trovare rapidamente un modo diverso per rinegoziare i nostri obiettivi andati perduti o messi a rischio. Ad esempio, accantonando le carte bollate e sostituendole con un atteggiamento empatico che esprima il valore della persona e dell’azienda che vogliamo essere. In modo trasparente, condiviso e applicabile a tutti: clienti, fornitori, stakeholder, senza differenza. Perché il problema è di tutti, ci siamo dentro tutti.

Nel rimettere in piedi il business sfumato ci saranno fasi negoziali e nella negoziazione tradizionale, quando in gioco ci sono obiettivi differenti e all’apparenza inconciliabili, uno dei rischi maggiori è che a un certo punto ci si dimentica del proprio obiettivo originario e via via ci si concentra nel non permettere all’altro di raggiungere il suo. Chi ha fatto aula con me sa di cosa sto parlando, lo ha visto nel video del ragno e della mosca.

E se impiegassimo invece le nostre energie e le nostre abilità di comunicazione (Treccani, Rendere comune, far conoscere, far sapere) per trovare un nuovo obiettivo condiviso in cui, certo, a qualcosa anche noi dovremo rinunciare, sapendo però che ci porteremo sicuramente a casa qualcos’altro?

E’ la famosa logica win-win con cui ci piace riempirci la bocca: ecco, proviamo ad applicarla ora.

Molti noleggiatori mi hanno descritto in questi giorni situazioni imprevedibili e richieste inedite da parte dei loro clienti: non sanno come affrontarle e cosa rispondere loro. Inutile che vi dica quanto sia complicato trovare qualcosa di sensato da suggerire per ogni singolo caso. Ecco perché consiglio di concentrarsi su modalità che stanno al di sopra dei contratti scritti e firmati, che tengano conto della sostanza vera e che si possano attuare guardandosi bene negli occhi e mettendo tutto sul tavolo. Una modalità nuova, un salto di paradigma.

Duomo-Milano

Come tutti, anch’io sto perdendo giornate di lavoro, aerei e treni prenotati, attività che non farò perché collegate ad altre che non si faranno. Ma se penso a chi stava organizzando da mesi manifestazioni fieristiche già non prive di difficoltà, mi vengono i brividi. Tutti siamo collegati gli uni agli altri e se c’è una cosa a cui forse il Coronavirus farà del bene, sarà quella di debellare una volta per tutte lo stupido atteggiamento del “mors tua vita mea”. Io non vorrei mai sopravvivere da solo sapendo di non aver fatto il possibile per far sopravvivere anche qualcun altro.

Ci sarà bisogno di fantasia, coraggio, responsabilità e chissà cosa ancora per trovare soluzioni nuove a questi problemi nuovi che stiamo affrontando. Ad esempio, pensare davvero a come attuare il cosiddetto smartworking (che non è il telelavoro) adeguando ai tempi il concetto stesso di contratto. Bene, proviamoci.

Di una cosa sono certo: i buoni comportamenti e la trasparenza generano circoli virtuosi a catena. E già questo sarà il nostro guadagno.

L’ultima riflessione la spendo proprio sulla questione del profitto, solitamente inteso come monetizzazione a tutti i costi. Il dizionario Treccani utilizza due definizioni per questo termine: 1) Giovamento, utilità, vantaggio, sia fisico, sia intellettuale o morale, sia pratico. 2) Avanzamento, progresso, nello studio, nell’apprendimento di una materia, nel lavoro.

Dato che nessuna delle due parla di monetizzazione, dovessimo mai imparare a entrare in questa rinnovata logica di significato forse potremmo dire di aver trovato finalmente nuovi indici di guadagno: una sorta di ROI del Coronavirus. Qui non posso certo dirvi cosa potete fare voi, ma vi dico cosa ho in mente di fare io.

In questi giorni in cui sono ancora costretto a stare in ufficio perché non posso spostarmi e in cui le giornate in aula mi mancano come ossigeno vitale, ho deciso di dedicare il mio tempo a quello che in gergo si chiama knowledge (conoscenza). Ho deciso cioè di prendermi questo periodo strano per quello che è, un’opportunità di fermarmi e studiare. Esplorare nuovi contenuti, nuove soluzioni, qualcosa di diverso con cui potrò dare nuovo valore a chi si rivolgerà a me quando tutto sarà finito.

E ho deciso anche di mettere a disposizione, gratis, il mio tempo per chi vorrà confrontarsi con me, magari su Skype, per condividere le situazioni che si sono venute a creare nella sua vita e nella sua organizzazione, e su come affrontarle.

Cercatemi pure, io ci sono.

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