Le morti bianche stanno diventando invisibili

stop morti lavoro
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E’ una strage quotidiana che rischia ancora di passare sotto un silenzio rotto solo dal clamore mediatico quando i morti sono più di uno, o quando le circostanze sembrano più eclatanti. Nemmeno i politici sembrano più interessati alle morti bianche, quasi fosse un tema relegato agli addetti ai lavori: un tempo, almeno, si affacciavano in televisione per dire che “adesso basta”. Nelle ultime due settimane, la media è di uno al giorno: persone cadute dall’alto, oggetti caduti dall’alto sulle persone, operai schiacciati tra i rulli di una macchina, tecnici morti per esalazioni chimiche.

Cosa dicono i dati

Trattando il tema solo con la freddezza dei numeri, possiamo dire che le denunce di infortunio sul lavoro presentate all’Inail nel corso del 2017 sono state poco più di 641mila. Il dato, fa sapere l’ente, è sostanzialmente in linea con quello rilevato nel 2016, mentre prendendo come riferimento il 2012 si nota una flessione pari a circa il 14%. Di questi, gli infortuni riconosciuti sul lavoro sono stati poco meno di 417mila, di cui circa il 19% è avvenuto fuori dell’azienda, cioè con mezzo di trasporto o in itinere.

Il dato “fuori azienda” è rilevante per la valutazione accurata delle politiche e delle azioni di prevenzione. Il 58% dei casi mortali è avvenuto fuori dell’azienda. Delle 1.112 denunce di infortunio con esito mortale (erano 1.142 nel 2016 e 1.370 nel 2012) gli episodi accertati “sul lavoro” sono stati comunque 617 (di cui 360, pari al 58%, fuori dell’azienda). In pratica, due ogni giorno lavorativo, che però è evidenziata come una diminuzione del 2,8% rispetto al 2016 e di circa il 25% rispetto al 2012. La tendenza più recente però mostra un preoccupante aumento: nei primi cinque mesi del 2018 i casi mortali denunciati all’Istituto sono stati 389, 14 in più rispetto allo stesso periodo del 2017. L’aumento riguarda solo i casi avvenuti in itinere, ovvero nel tragitto di andata e ritorno tra l’abitazione e il posto di lavoro (passati da 104 a 118), mentre per quelli occorsi “in occasione di lavoro” le denunce sono state 271 in entrambi i periodi.

Al di là del costo umano, c’è poi il costo economico a carico della collettività: gli infortuni hanno causato circa 11 milioni di giornate di inabilità con costo a carico dell’Inail. In media 85 giorni per infortuni che hanno provocato menomazione e circa 21 giorni in assenza di menomazione. Le denunce di malattia professionale protocollate dall’Inail nel 2017 sono state circa 58mila, 2.200 in meno rispetto al 2016 ma in aumento di un quarto rispetto al 2012. Ne è stata riconosciuta la causa professionale al 33%, mentre il 3% è ancora “in istruttoria”. Il 65% delle denunce riguarda patologie del sistema osteomuscolare. “Le denunce – ha spiegato il presidente De Felice – riguardano le malattie e non i soggetti ammalati, che sono circa 43mila, il 37% dei quali per causa professionale riconosciuta”. Sono stati poco meno di 1.400 i lavoratori con malattia asbesto-correlata. I lavoratori deceduti nel 2017 con riconoscimento di malattia professionale sono stati 1.206, il 37% in meno rispetto al 2012, di cui 335 per silicosi/asbestosi (l’86% con età al decesso maggiore di 74 anni, il 75% con età maggiore di 79 anni). Dopo la diminuzione registrata nel corso di tutto il 2017, nei primi cinque mesi del 2018 le denunce di malattia professionale sono tornate ad aumentare, anche se a un ritmo più lento rispetto alle quattro rilevazioni mensili precedenti. Allo scorso 31 maggio, infatti, l’incremento si è attestato al +3,1%, pari a 818 casi in più rispetto allo stesso periodo del 2017 (da 26.195 a 27.013).

Sensibilizzazione e cultura imprenditoriale

I numeri però non dicono tutto: a prescindere dalla questione legata a ogni singola persona, alla sua storia personale e al costo sociale di una morte bianca, la sicurezza sul lavoro è un tema di civiltà, soprattutto sul versante della prevenzione, come ha sottolineato De Felice citando il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che nel suo discorso per la celebrazione del primo maggio aveva richiamato l’attenzione sulla “sequenza, purtroppo continua, degli incidenti mortali”, ribadendo che “la sicurezza sul lavoro è un tema di civiltà”, e che la prevenzione “richiama la responsabilità di tutte le parti” coinvolte nei cicli produttivi.

Per il presidente dell’Istituto, “la prevenzione contro i rischi – già impegnativa nei processi di lavoro tradizionali – diventa problema più arduo nel controllo delle nuove forme di lavoro come il crowdworking, il ‘lavoro su piattaforma’ e lo smart working”. Di qui “l’esigenza di regolamenti per ben definire la tutela assicurativa: dovendo individuare, in particolare, il confine tra lavoro subordinato, collaborazione coordinata e continuativa etero-organizzata e lavoro autonomo”.

Ma è un tema di civiltà anche rispetto al comportamento dei rappresentanti istituzionali e ad alcune attività losche perpetrate da parte di chi sarebbe invece tenuto al presidio della prevenzione; gente che ha stilato le norme con la mano sinistra, mentre con la destra si scopre coinvolto in faccende legate alla corruzione, per aver favorito comportamenti elusivi delle stesse norme in cambio di denaro, mettendo di fatto in pericolo la vita delle persone che lavorano. Ne abbiamo già parlato su questo portale: queste persone, quando ritenute colpevoli, andrebbero certamente punite in modo esemplare, evidenziando il diretto legame tra il loro comportamento e gli incidenti avvenuti .

La lunga scia di incidenti mortali sui luoghi di lavoro delle ultime settimane (eclatante quello di un lavoratore di 75 anni!) sta però generando una riflessione che sembra non volersi fermare alle dichiarazioni di cordoglio o alle prese di posizione di rito. Sempre più ci si interroga sulle possibili correlazioni tra i processi di riorganizzazione dopo la crisi e questa ripresa delle morti bianche. Ma anche, come ha sottolineato qualcuno, si analizza se sia stata proprio la ripresa dell’attività produttiva la causa a monte di questa nuova spirale di sangue.

In questo caso sarebbe una vera sconfitta per il mondo imprenditoriale, perché certificherebbe ancora una volta quanto le spese in sicurezza e prevenzione siano da noi considerate costi da evitare o da eludere, magari attraverso la produzione di burocrazia e non, come dovrebbero essere considerate, investimenti consapevoli dell’imprenditore, chiamato a organizzare nel modo più corretto gli elementi della produzione, compresa la manodopera umana.

Tag dell'articolo: morti bianche, safety blues

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