Se crolla la domanda che si fa?

I settori tradizionali attorno ai quali l’Italia era cresciuta economicamente si stanno oggi contendendo il triste primato di chi stia pagando maggiormente il prezzo della crisi. Dello stato in cui versa l’edilizia si è già detto molto e persino il Cresme, pur con grave ritardo, ha gettato da un pezzo la spugna dell’ottimismo a oltranza. Il Rapporto 2013 di Federcostruzioni scende ancora più nel dettaglio, evidenziando oltre a quello dei numeri, il peso calante a livello strutturale delle singole filiere. Nello specifico, la fotografia che Federunacoma e Ascomac fanno del segmento macchine movimento terra, da cantiere e per l’edilizia, è impietosa (sull’argomento, si veda anche il rapporto di Cantiermacchine sulla vendita di mezzi operativi nel primo semestre 2014). In meno di un lustro, tutto si è dimezzato: dal numero di aziende e addetti, al volume di produzione, alle unità vendute nel territorio.

Ora è il turno delle strade.  Nel recente Rapporto Siteb si legge, infatti, che le attività di costruzione e manutenzione sono praticamente ferme e che i consumi di asfalto (conglomerato bituminoso) negli ultimi 8 anni si sono dimezzati, passando dai 44 milioni di tonnellate del 2006 ai 22,5 previsti per quest’anno. Una situazione di degrado che, peraltro è sotto gli occhi di tutti, e che in teoria dovrebbe ingrossare quantomeno i portafogli di meccanici e carrozzieri.

Scherzi a parte, leggendo questi numeri, personalmente mi chiedo come tali dinamiche incidano nel noleggio. Se si costruiscono meno case e meno strade si utilizzano anche meno macchine, e questo è ovvio. E, infatti, il numero di flotte presenti nei parchi delle imprese di costruzioni tanto in quelli dei noleggiatori, è calato vistosamente. Ma, osservando con una lente di ingrandimento migliore, è proprio l’instaurarsi di dinamiche nuove a poter incidere in modo positivo, mettendo le une e gli altri in condizioni di lavorare con maggiore razionalità.

Ad esempio, se il mio “core business” in calo non mi consente più di sfruttare intensivamente i miei mezzi, a seguito di un lavoro che non c’è più o c’è a singhiozzo, anche io come impresa trarrò maggior vantaggio nel ricorrere sistematicamente a un partner noleggiatore, piuttosto che rinunciare a lavorare del tutto perché possessore di macchine obsolete, inadeguate e fuori norma (parlo sia del breve che del medio e lungo termine, questo per ragioni più legate alla stretta creditizia). E io, noleggiatore, avrò maggior beneficio nell’investire in flotta, assicurando una quantità e una qualità di mezzi adeguata ai bisogni di questi soggetti, diciamo dei miei clienti fidelizzati.

Sarebbe perciò interessante capire bene cosa ancora impedisce l’attuarsi di questa dinamica, in maniera semplice e naturale come avviene peraltro all’estero. Il problema sta negli insoluti? Nell’appropriazione indebita? Nella struttura dell’offerta? Nella scarsa cultura della domanda? Parliamone. Anche perché saremmo già in un terreno di riflessioni ben distante dal fatalistico prendere atto del calo dei numeri senza poter far nulla. Qui si parlerebbe piuttosto di come operare profittevolmente anche in un mercato che ha ormai queste cifre.

Fino a qualche tempo fa, ero convinto che la partita fosse in mano a quelle due o tre grosse case costruttrici (o loro distributori ufficiali) che non hanno mollato il segmento del noleggio. Se volete vi faccio i nomi. Invece, proprio parlando con uno di loro, ho scoperto che la pressione sul mercato del noleggio loro non la sentono più dai brand competitor, ma da un paio di grossi noleggiatori specializzati in questi segmenti.

Non so a voi, ma a me questo fa riflettere parecchio.

Tag dell'articolo: crisi, noleggio

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